Amarezza, odio, rancore, senso di colpa, paura, vendetta: sono alcuni nomi della nostra prigione.
Riconosciamolo: siamo tutti in qualche modo dei prigionieri feriti e doloranti. Portiamo le ferite della nostra storia di figli, di fratelli, di coniugi, di genitori, di amici o di colleghi.
Ferite come conseguenza del male ricevuto ma anche del male dato, sia intenzionale che involontario (perché anche il male non intenzionale produce dolore).
È il dolore provocato dalle delusioni, dai tradimenti, dagli abbandoni, dalle violenze; dal male per omissione, per incapacità o impossibilità degli altri di offrirci la vita che ci aspettavamo o nostra di offrirla per come altri si attendevano.
Sul fondo delle nostre ferite giacciono dei grumi di energia vitale congelata, simili a legacci che rendono faticoso il nostro cammino.
Il rancore, le ferite, il dolore e i sensi di colpa vivono in noi come tessere separate di un mosaico che non riesce a comporre il proprio disegno, unico, bello e conclusivo.
Abbiamo allora bisogno di questa ricomposizione, c’è necessità di procedere verso una armonia interiore che dia leggerezza al nostro passo, che ci faccia sentire meno frammentati e col cuore meno spaccato.
Questo processo di ricomposizione lo chiamiamo Perdono.
Perdonare è un processo lungo, tortuoso, faticoso: non è un atto, ma un vero e proprio lavoro. Un lavoro che non si fa per obbedienza a qualche legge morale o religiosa né si può prescrivere.
Il cammino del perdono è un libero percorso verso una libertà più grande.
Per questo il perdono, quando è autentico, è guaritore, cioè capace di rimettere in moto processi vitali bloccati.
Ecco perché abbiamo tutti bisogno di perdono. Di perdonare, di perdonarci, d’essere perdonati.
Contenuti
Durante il weekend esploreremo questi temi:
– Doni parziali, doni traditi, doni mancati, doni avvelenati
– Offesa e tradimento
– E’ possibile dimenticare?
– Il lavoro del perdono
– Cammini di ricomposizione
– Figure riunificate